lunedì 11 aprile 2016

L'autovalutazione e la valutazione dell'insegnamento




Fare l’insegnante non è proprio come fare il muratore.
Se faccio il muratore, lavoro seriamente e utilizzo buoni materiali, ho la certezza che la mia casa non crollerà. Se faccio l’insegnate e lavoro seriamente e ho a disposizione tutti i supporti possibili e immaginabili, non ho la certezza di ottenere buoni risultati. Facilmente si può valutare il lavoro del muratore, tutt’altra cosa e farlo con il lavoro dell’insegnante.

Ritengo molto rischioso cercare di giungere ad un modello cui fare riferimento per una corretta valutazione o auto-valutazione del proprio operato. E’ assai rischioso costringere il processo educativo in una griglia rigida di risultati da ottenere. Quale criterio o gruppi di criteri potranno mai essere validi riferimenti per analizzare una realtà così multiforme e in continua evoluzione come quella del processo educativo?

Se è vero, secondo lo schema concettuale proposto da Mitzel (citato in Bennett, 1981), che una delle cinque angolature da cui esplorare l’efficacia dell’insegnamento è “il profilo professionale dell’insegnante, come repertorio di competenze da impiegare produttivamente in rapporto alla concreta situazione educativa”, mi chiedo anche che differenza c’è tra un insegnante che sa 5, e 5 trasmette e un insegnante che sa 10 ma trasmette 3? Anche se io fossi il più grande esperto mondiale in una qualche competenza, ma trasmettessi ben poco, che valore avrebbe questo in una possibile auto-valutazione del mio operato?
E il mio “impegno professionale nella scuola” (altra angolatura proposta da Mitzel) come potrebbe essere valutato? Senza niente togliere a coloro che ricoprono le funzioni più disparate, ma se io non amo gli incarichi che non mi mettono a strettissimo contatto con i ragazzi, se non mi sento pronta o competente per ricoprire una qualsiasi funzione nella scuola che non sia quella di “insegnare” devo auto-valutarmi negativamente? Oppure quali sarebbero gli incarichi che mi farebbero guadagnare dei punti nella valutazione?
E non mi sentirei mai individualista o solipsista, concetto quanto mai lontano dall’insegnamento. Come si possono assumere i concetti dell’egoismo e dell’utile individuale assieme a quello dell’insegnare, cioè dell’ “imprime un segno”, del comunicare, del fornire a qualcun altro una conoscenza, una possibilità, un ragionamento?
E che dire degli insegnanti che per star dietro ai vari “impegni professionali nella scuola”, trascurano il lavoro in classe?

Anche la “soddisfazione degli allievi, come rispondenza alle aspettative dei destinatari dell’azione formativa” è un aspetto delicato. A volte ci sono allievi soddisfatti di insegnanti definiti “mediocri” e ci sono allievi insoddisfatti di insegnanti considerati ottimi. I ragazzi spesso apprezzano aspetti del proprio insegnante che stonano con il “profilo e impegno personale” del docente.
E non è vero che preferiscono gli insegnati che li fanno lavorare meno. Mi sbaglierò, ma credo di aver compreso che i ragazzi vogliono sostanzialmente chiarezza e uniformità di comportamento, vogliono essere gratificati (perché in casa spesso non lo sono), voglio libertà di parola, vogliono lavorare senza disperdere le energie e vogliono quella che loro genericamente definiscono “giustizia”.


Forse ci si potrebbe basare sui “risultati di apprendimento, come esiti indiretti dell’azione formativa in base a cui verificarne l’efficacia”. Ma quante volte i risultati non hanno corrisposto i nostri sforzi, il nostro impegno, la nostra professionalità! Magari perché è mancato il tempo, il sostegno della famiglia (che talvolta troppo delega) o per altre ragioni.

Che cos’è allora l’insegnamento se non una farfalla che più si cerca di acchiappare e più sfugge, che più si cerca di catalogare e più svincola da ogni catalogazione, di cui esistono tante varietà, quanti sono gli insegnanti su questo pianeta?

Parrebbe a questo punto ovvio concludere che il rischio è troppo alto, che troppe sono le variabili in gioco per fornire un modello credibile cui fare riferimento.

Invece no. Bisogna fare questo tentativo, cercare di creare dei criteri, tentare di analizzare l’insegnamento in quegli aspetti che meglio possano essere valutabili. Ma questi criteri dovrebbero essere quanto mai suscettibili di cambiamenti, modificabili in ogni realtà scolastica. Questa è un’esigenza reale perché non di rado si incontrano docenti che si considerano ancora detentori di un sapere misterioso (eccoli i veri solipsisti), e quali piccoli reucci ti guardano dall’alto in basso della loro esperienza e in classe dettano regole assurde e impartiscono punizioni incomprensibili.

O che dire di chi lavora esclusivamente “a sentimento”, rollando di qua e di là come vascelli che non sanno che direzione prendere, affidandosi troppo alle capacità di improvvisazione, proponendo modelli incerti e troppo fragili ad una gioventù già di per se stessa incerta e fragile. Magari si auto-valutano degli ottimi insegnanti.

E se quindi una valutazione deve necessariamente esistere che sia non un’ennesima scusa per ghettizzare gli insegnanti un po’ fuori dal coro, quelli che magari non fanno memorizzare tutte le capitali del mondo ai propri alunni, ma trasmetto ideali, condividono esperienze valide, li fanno realmente crescere emotivamente, sviluppando la fantasia, la creatività, spingendo alla tolleranza, al superamento dell’egocentrismo, ecc. Che provino gli studiosi a valutare questi aspetti.

Ma se proprio vogliamo “intrappolare” questa farfalla, preferisco che si parli di valutazione centrata non “sulle azioni o sui soggetti”, ma “sulle azioni e sui soggetti”. Vorrei che non fosse un modello rigido cui ricondurre tutto, ma più modelli che scaturiscano da più ambiti (psicologico, pedagogico, sociologico, antropologico, ecc.). Vorrei un modello che variasse da contesto a contesto, da realtà a realtà, che tenga realmente conto dei “contesti” e delle “realtà”.
Più che un modello definito e rigido, di items da convalidare, mi verrebbe in mente una struttura tipo quella dell’atomo, con un nucleo e tante particelle che ruotano intorno. Il nucleo sarebbe la relazione insegnate-alunno, e le particelle sarebbero tutte le variabili possibili e immaginabili dell’alunno (famiglia, società, gruppo dei pari, ecc.), dell’insegnante (competenza, esperienza, ecc.) e la variabile delle variabili, quel qualcosa che non si può catalogare, che non troveremo mai in nessun manuale della Valutazione, su cui nessun docente universitario potrà mai tenere una lezione.
Ma che quando incontriamo un docente che ce l’ha, la riconosciamo al volo. O meglio, dal volo.




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