Chi
era Alan Turing? In pochi non sanno ancora che fu un matematico
inglese, esperto anche di logica e crittografia; in pochi non sanno
ancora che fu soprattutto grazie ad una sua invenzione che
l'Inghilterra riuscì a contrastare l'avanzata dell'esercito di
Hitler. Già, perché Turing inventò una macchina in grado di
decriptare i messaggi tedeschi, e nessuno ne parlò fino agli anni
Ottanta. Turing però era anche omosessuale e a quel tempo
l'omosessualità era vista come una devianza e una perversione che
portava dritti in carcere (Turing scelse invece di farsi
somministrare ormoni femminili). In pratica senza Turing - ahhhh, il
gender esisteva già - quasi tutti quelli che oggi, specialmente sui
social network, si scagliano contro gli omosessuali e descrivono
l'omosessualità come una pratica aberrante contro natura, non
potrebbero usare i loro bellissimi computer per manifestare il loro
disappunto. Come se poi a noi interessasse. Perché Turing era
arrivato a capire che una macchina può pensare. Torniamo al libro
però. L'autore, Lagercrantz, uno di quegli autori di cui si sbaglia
sempre il cognome, è conosciuto per aver scritto il quarto libro di
Millenium (S.Larsson), eppure in patria ha scritto anche molte
biografie. Ed è bravo proprio in questo, ovvero nel documentarsi e
scrivere biografie. Un po' meno nel romanzare una storia. Perché
quest'opera, che ripercorre la vita di Turing a partire dal suo
suicidio - insomma, ti chiudono in casa, ti sorvegliano e ti
costringono a prendere ormoni femminili dopo che hai salvato le
chiappe al tuo Paese - è molto interessante ma anche di difficile
lettura, perdendosi tra teorie matematiche, logiche e toccando
addirittura la fisica quantistica. Un libro che insegna qualcosa -
voi lo conoscete il paradosso del mentitore? - e che può lasciare
una punta di sdegno nelle nostre coscienze. In fondo, anche adesso,
spesso si guarda più alla sessualità che all'intelligenza,
all'orientamento sessuale più che alla bravura. Certo non capita
spesso, e non si obbliga nessuno al carcere o alla castrazione
chimica, però la discriminazione ancora esiste, basti pensare alle
differenze ancora attuate in ambito lavorati tra uomini e donne.
Turing, colui che salvò l'Inghilterra e forse non solo, era
considerato un pericolo quando sarebbe bastato chiamarlo genio. Se vi
interessa conoscere meglio la sua vita e il suo carattere
(particolare sicuramente), non perdetevi questa opera ma siate pronti
ad aprire la vostra mente a materie sconosciute (se come me non siete
laureati in matematica o fisica, se due più due lo calcolate grazie
alla calcolatrice e se nella logica vi perdete come in un bosco di
notte). E guardatevi anche un bel film , tratto sempre da un libro,
The imitation game. E attenti a non raccontare nulla di tutto questo
ai vostri bambini, che il Gender vien di notte con le calze tutte
rotte.
sabato 16 aprile 2016
lunedì 11 aprile 2016
L'autovalutazione e la valutazione dell'insegnamento
Fare
l’insegnante non è proprio come fare il muratore.
Se
faccio il muratore, lavoro seriamente e utilizzo buoni materiali, ho
la certezza che la mia casa non crollerà. Se faccio l’insegnate e
lavoro seriamente e ho a disposizione tutti i supporti possibili e
immaginabili, non ho la certezza di ottenere buoni risultati.
Facilmente si può valutare il lavoro del muratore, tutt’altra cosa
e farlo con il lavoro dell’insegnante.
Ritengo
molto rischioso cercare di giungere ad un modello cui fare
riferimento per una corretta valutazione o auto-valutazione del
proprio operato. E’ assai rischioso costringere il processo
educativo in una griglia rigida di risultati da ottenere. Quale
criterio o gruppi di criteri potranno mai essere validi riferimenti
per analizzare una realtà così multiforme e in continua evoluzione
come quella del processo educativo?
Se
è vero, secondo lo schema concettuale proposto da Mitzel (citato in
Bennett, 1981), che una delle cinque angolature da cui esplorare
l’efficacia dell’insegnamento
è “il profilo
professionale dell’insegnante,
come repertorio di competenze da impiegare produttivamente in
rapporto alla concreta situazione educativa”, mi chiedo anche che
differenza c’è tra un insegnante che sa 5, e 5 trasmette e un
insegnante che sa 10 ma trasmette 3? Anche se io fossi il più grande
esperto mondiale in una qualche competenza, ma trasmettessi ben poco,
che valore avrebbe questo in una possibile auto-valutazione del mio
operato?
E
il mio “impegno
professionale nella scuola”
(altra angolatura proposta da Mitzel) come potrebbe essere valutato?
Senza niente togliere a coloro che ricoprono le funzioni più
disparate, ma se io non amo gli incarichi che non mi mettono a
strettissimo contatto con i ragazzi, se non mi sento pronta o
competente per ricoprire una qualsiasi funzione nella scuola che non
sia quella di “insegnare” devo auto-valutarmi negativamente?
Oppure quali sarebbero gli incarichi che mi farebbero guadagnare dei
punti nella valutazione?
E
non mi sentirei mai individualista o solipsista, concetto quanto mai
lontano dall’insegnamento. Come si possono assumere i concetti
dell’egoismo e dell’utile individuale assieme a quello
dell’insegnare, cioè dell’ “imprime un segno”, del
comunicare, del fornire a qualcun altro una conoscenza, una
possibilità, un ragionamento?
E
che dire degli insegnanti che per star dietro ai vari “impegni
professionali nella scuola”, trascurano il lavoro in classe?
Anche
la “soddisfazione degli allievi, come rispondenza alle aspettative
dei destinatari dell’azione formativa” è un aspetto delicato. A
volte ci sono allievi soddisfatti di insegnanti definiti “mediocri”
e ci sono allievi insoddisfatti di insegnanti considerati ottimi. I
ragazzi spesso apprezzano aspetti del proprio insegnante che stonano
con il “profilo e impegno personale” del docente.
E
non è vero che preferiscono gli insegnati che li fanno lavorare
meno. Mi sbaglierò, ma credo di aver compreso che i ragazzi vogliono
sostanzialmente chiarezza e uniformità di comportamento, vogliono
essere gratificati (perché in casa spesso non lo sono), voglio
libertà di parola, vogliono lavorare senza disperdere le energie e
vogliono quella che loro genericamente definiscono “giustizia”.
Forse
ci si potrebbe basare sui “risultati di apprendimento, come esiti
indiretti dell’azione formativa in base a cui verificarne
l’efficacia”. Ma quante volte i risultati non hanno corrisposto i
nostri sforzi, il nostro impegno, la nostra professionalità! Magari
perché è mancato il tempo, il sostegno della famiglia (che talvolta
troppo delega) o per altre ragioni.
Che
cos’è allora l’insegnamento se non una farfalla che più si
cerca di acchiappare e più sfugge, che più si cerca di catalogare e
più svincola da ogni catalogazione, di cui esistono tante varietà,
quanti sono gli insegnanti su questo pianeta?
Parrebbe
a questo punto ovvio concludere che il rischio è troppo alto, che
troppe sono le variabili in gioco per fornire un modello credibile
cui fare riferimento.
Invece
no. Bisogna
fare questo tentativo, cercare di creare dei criteri, tentare di
analizzare l’insegnamento in quegli aspetti che meglio possano
essere valutabili. Ma questi criteri dovrebbero essere quanto mai
suscettibili di cambiamenti, modificabili in ogni realtà scolastica.
Questa è un’esigenza reale perché non di rado si incontrano
docenti che si considerano ancora detentori di un sapere
misterioso (eccoli i veri solipsisti), e quali piccoli reucci ti
guardano dall’alto in basso della loro esperienza e in classe
dettano regole assurde e impartiscono punizioni incomprensibili.
O
che dire di chi lavora esclusivamente “a sentimento”, rollando
di qua e di là come vascelli che non sanno che direzione prendere,
affidandosi troppo alle capacità di improvvisazione, proponendo
modelli incerti e troppo fragili ad una gioventù già di per se
stessa incerta e fragile. Magari si auto-valutano degli ottimi
insegnanti.
E
se quindi una valutazione deve necessariamente esistere che sia non
un’ennesima scusa per ghettizzare gli insegnanti un po’ fuori dal
coro, quelli che magari non fanno memorizzare tutte le capitali del
mondo ai propri alunni, ma trasmetto ideali, condividono esperienze
valide, li fanno realmente crescere emotivamente, sviluppando la
fantasia, la creatività, spingendo alla tolleranza, al superamento
dell’egocentrismo, ecc. Che provino gli studiosi a valutare questi
aspetti.
Ma
se proprio vogliamo “intrappolare” questa farfalla, preferisco
che si parli di valutazione centrata non
“sulle azioni o sui soggetti”, ma “sulle azioni e
sui soggetti”. Vorrei che non fosse un modello rigido cui
ricondurre tutto, ma più modelli che scaturiscano da più ambiti
(psicologico, pedagogico, sociologico, antropologico, ecc.). Vorrei
un modello che variasse da contesto a contesto, da realtà a realtà,
che tenga realmente conto dei “contesti” e delle “realtà”.
Più
che un modello definito e rigido, di items da convalidare, mi
verrebbe in mente una struttura tipo quella dell’atomo, con un
nucleo e tante particelle che ruotano intorno. Il nucleo sarebbe la
relazione insegnate-alunno, e le particelle sarebbero tutte le
variabili possibili e immaginabili dell’alunno (famiglia, società,
gruppo dei pari, ecc.), dell’insegnante (competenza, esperienza,
ecc.) e la variabile delle variabili, quel qualcosa che non si può
catalogare, che non troveremo mai in nessun manuale della
Valutazione, su cui nessun docente universitario potrà mai tenere
una lezione.
Ma
che quando incontriamo un docente che ce l’ha, la riconosciamo al
volo. O meglio, dal volo.
Le donne non fanno ridere
Questo sosterrebbero alcuni prestigiosissimi studi
americani. In pratica, percentualmente, ci sarebbero più uomini che
donne divertenti. Ma sarà vero?
Non
voglio certo contraddire i “prestigiosissimi” studi, ma forse è
bene fare un po’ di chiarezza.
Parrebbe,
per esempio, che le donne non raccontano barzellette a sfondo
sessuale se nel gruppo ci sono degli uomini, mentre questi ultimi non
fanno distinzione di sesso, cioè non si mettono alcun problema se
nel gruppo ci sono delle donne. Ma questo non varrebbe per le donne
di Hong Kong che, a quanto pare, raccontano moltissime barzellette a
sfondo sessuale, più delle americane e delle europee. Forse le donne
di Hong Kong sono più disinibite delle altre? O sarà forse che gli
uomini di Hong Kong non hanno pregiudizi nei confronti delle donne
che raccontano barzellette a sfondo sessuale?
Dunque,
escludendo le donne di Hong Kong (che sono delle gran simpaticone),
l’umorismo sembrerebbe un tratto prevalentemente maschile. La donna
che racconta troppe barzellette (per giunta a sfondo sessuale)
probabilmente viene percepita come “poco seria”, e questo non
avrebbe niente a che vedere con l’umorismo.
Ma
forse la spiegazione è un’altra. Probabilmente l’uomo
occidentale vuole vedere nella donna o la madre dei propri figli o
la realizzatrice dei propri reconditi desideri. Nessuna delle due
opzioni andrebbe d’accordo con l’umorismo, perché dare alla luce
un figlio ha ben poco a che vedere col divertimento; non parliamo poi
della seconda possibilità, che potrebbe sì avere a che fare col
divertimento ma di altro tipo (non c’è niente che smorzi una
performance sessuale come una risata nel momento sbagliato).
Dunque,
gli esperti sull’argomento dicono che l’umorismo è un dominio
prettamente maschile, ecco perché ci sarebbero più uomini che donne
diverti, anche se non sono in grado di dirci il perché.
Grazie
tante, eminenti studiosi. Nell’attesa di maggiori delucidazioni da
parte vostra, vado a farmi una sana risata.
domenica 10 aprile 2016
Le Recensioni di Adriana Pasetto - Ho sposato una vegana
Giustificazioni:
1. ho letto questo libro sapendo a cosa andavo incontro, avevo letto alcune recensioni e piccoli stralci;
2. ho deciso di leggerlo comunque perché era ormai lì, era sera tarda e non avevo voglia di iniziare un libro più impegnativo.
Premesse:
1. Conosco persone vegetariane e vegane - alcune delle quali sono anche parenti stretti a cui riservo buona parte del mio affetto - e voglio difenderle a priori, perché almeno loro - nel vasto universo - sono persone normali ed equilibrate e non mi fanno sentire in colpa ogni volta che mangio qualcosa di simile ad un animale. Apprezzo chi riesce ad eliminare dalla sua alimentazione cose che per me sono fondamentali, perché io mangio bacon un giorno sì e l'altro pure. Credo realmente che un'alimentazione almeno vegetariana sia più salutare - convinzione personale, senza voler fare polemiche o simili - ma io proprio non posso farcela. Comprendo molto meno quel sottobosco misto di fruttariani, crudisti, igienisti e respiriani (si chiamano così?), perché tutto va bene finché non si diventa ossessivi - tra l'altro la cosa degli igienisti, nonostante abbia cercato informazioni ancora non mi è chiarissima.
2. Non tutti i vegani sono pazzi, non tutti sono dei 'nazivegani', come quello che preferisce sua madre muoia, per intenderci, anche se il web è ormai popolato da certi personaggi niente male. Detto ciò, questo libro racconta di una 'naziveganacrudistasalutista' e non saprei neanche bene come definirla. Perché lei sì, lei è pazza. Non perché vegana ma perché in grado di brucare - e intendo realmente brucare - dell'erba da un vaso per non perdere certe proprietà. Insomma, anche mia madre mangia molta insalata e la mangia con gusto, spesso le dico che la lascerò brucare in un prato ma se la vedessi brucare da un vaso probabilmente la porterei subito da uno psichiatra.
- Ma tu lo sai che dopo la doccia è sbagliato asciugarsi? Bisogna lasciar respirare le cellule e lasciare che l'acqua evapori da sola.
(Certo, se vivi in Brasile potrebbe anche essere fattibile, se vivi in Svezia un po' meno, aggiungo io).
La protagonista di questo libro esiste, è la moglie dello scrittore/sceneggiatore/regista Brizzi, non è un personaggio di fantasia, E' una donna che al primo appuntamento ha salutato il suo prossimo marito dicendogli che sarebbe morto presto, è una donna che ha preteso che il marito chiamasse la Protezione Animali Esotici perché un gatto aveva attaccato una lucertola.
- Sai, mi piaci davvero tanto...peccato che morirai presto!
E potrei continuare così a lungo ma dovrei svelarvi veramente troppo, e magari qualcuno ha questo libro sul comodino. Insomma, se l'intento di Brizzi era farci ridere direi che è miseramente fallito: due o tre episodi strappano anche un sorriso ma per il resto il lettore si chiede solo 'a quando il TSO?'. La cosa peggiore, forse, è che lui, Brizzi, all'inizio del libro ci spiega che ha accettato certe cose all'inizio della relazione perché lei era veramente 'supercalifragili' mega gnocca, e ci chiede anche di cercarla sul web. Non ha detto che era intelligente, simpatica o che altro, solo che era bella.
- La trovai proprio in terrazza. Era inginocchiata a terra, china su un vaso e brucava allegramente dell'erba.
Avete letto bene. Brucava. Perché l'autore ha voluto scrivere tutto ciò? Me lo sono chiesta. Più volte. Ho pensato che volesse dare un'immagine migliore di sua moglie - una che se ti vede mangiare un kebab te lo strappa dalle mani e te lo butta via (ma non l'hanno mai menata?) - ma assolutamente non c'è riuscito. Quindi sono arrivata alla conclusione che abbia scritto questo libro solo ed esclusivamente per chiederci AIUTO. Sta cercando qualcuno che lo liberi. Non c'è altra possibilità.
- Cioè tu preferisci essere tradita che trovare del formaggio nel frigo?
- Ma certo! Non che mi faccia piacere, ma almeno quella è un'attività fisica che produce endorfine, riattiva la circolazione e migliora l'umore. Lo sai che ci tengo alla tua salute.
Poco più di un centinaio di pagine di aneddoti simili a quelli sopra citati, escludendo qualche viaggio con frullatore in valigia e via dicendo. Poco più di un centinaio di pagine per comprendere che il titolo originale di questo libro dovrebbe essere 'Ho sposato una pazza'.
Prof, mi può fare un'altra domanda?
«Prof, mi può fare un’altra domanda?»
«Vediamo… Quali sono le cause della Prima Guerra Mondiale?»
«Ehm…»
«Marco, non ti ricordi neppure questa?»
«No, prof… mi può fare ancora un’altra domanda?»
«Vediamo… La Prima guerra d’Indipendenza?»
«…»
«Neanche questa!»
«Eh, prof… mi può fare una domanda che so?»
«Ok. Cos’hai nel panino?»
«Questa la so!»
sabato 9 aprile 2016
I colloqui coi Professori
Da Prof, posso chiamare a casa? Genitori allo sbaraglio.
[...] Ci
sono comunque delle categorie di genitori che chiariscono molto bene
dalle prime battute cosa si aspettano, cosa vogliono per i loro figli
e qual è la loro idea di scuola.
Il
genitore apprensivo
‹‹Professoressa,
secondo lei Luca avrebbe bisogno di fare un po' di ripetizioni di
italiano?››
‹‹In
prima media sono pochissimi i ragazzi che hanno una sintassi ben
strutturata...››
‹‹No,
perché non vorrei che avesse dei problemi al liceo...››
‹‹Ha
appena iniziato la prima media...››
‹‹Va
be', ma è meglio prevenire, giusto?››
Il
genitore controllore.
‹‹Professoressa,
vorrei che spostasse mia figlia con un'altra compagna.››
‹‹È
successo qualcosa? Hanno litigato?››
‹‹No,
no...››
‹‹E
allora che problema c'è?››
‹‹No...
è che non vorrei che distraesse mia figlia...››
‹‹Ma
Cinzia è sempre attenta, non mi sembra che la compagna la
distragga.››
‹‹Sì, però la compagna potrebbe distrarla.››
‹‹Ma
Cinzia si è lamentata che la compagna la distrae?››
‹‹No,
ma sono sicura che presto o tardi la distrarrà.››
Il
genitore tutto d'un pezzo.
‹‹Vede,
professoressa, io pretendo che mio figlio faccia tutto quello che
dicono gli insegnanti!››
‹‹Ehm...
bene, ma il punto è che a Mattia sfuggono un po' troppe
parolacce...››
‹‹Davvero?!
Io glielo dico sempre, 'Mattia, non dire le parolacce!' Mi scusi
professoressa, eh... Ma io sull'educazione non transigo, cazzo, ma
gliela faccio passare io la voglia di dirle, a colpi di cinghia
gliela faccio passare!››
Il
genitore che non viene mai ai colloqui.
...
Il
genitore che giustifica il proprio figlio.
‹‹Professoressa,
lei ha ragione, ma poverino il mio bambino...››
‹‹Signora,
Federico ha 14 anni, poverino un cor... Ehm, non è più un bambino
insomma. ››
‹‹Ha
ragione, ma lui si impegna davvero! ››
‹‹Non
fa mai i compiti››
‹‹Ehm...››
‹‹Dimentica
tutto il materiale.››
‹‹Ecco...››
‹‹Non
studia mai.››
‹‹Professoressa,
lei a mio figlio sta troppo simpatica! ››
giovedì 7 aprile 2016
Azzurro e Bianca
«Ok,
Azzurro, voglio fidarmi di te: staremo insieme per sempre.»
«Veramente
io non ho detto esattamente così… Ho detto che ti amerò per
sempre.»
«E
non è la stessa cosa?»
«Be',
il martedì sera ho la partita di calcetto, il giovedì solitamente
andiamo a berci una birra tra amici, dopo il lavoro ovviamente… Poi
ogni tanto la domenica mattina esco col Aldo a farmi un giro in
bicicletta. Poi c’è Luigi che ha sempre due biglietti per la
partita, quindi o la domenica pomeriggio o il lunedì… anzi, a
volte anche il sabato sera… Ah, dimenticavo il pokerino un
mercoledì sì e uno no a casa di Luca.»
«Ah…
ok… va bene… sì, insomma, è giusto che tu veda i tuoi amici…
Ora che ci penso anche io ho un impegno a cui non voglio rinunciare…»
«Ma
certo, è giusto… Con chi?»
«Col
Cacciatore.»
«Col
Cacciatore?
«Preferivi
coi sette Nani?»
Aspettando il Principe Azzurro
'Noi donne non siamo molto diverse una dall’altra. La nostra categoria è sostanzialmente formata da un unico tipo di donna che possiede due caratteristiche in quantità variabile, da lì le differenze. Siamo tutte un po’ pudiche e un po’ geishe, e le proporzioni variano con l’età, l’educazione ricevuta, il contesto sociale e le esperienze. E ovviamente non dimentichiamo la cosiddetta variabile impazzita: lo shopping che ci accomuna un po’ tutte.'